La trasposizione a fumetti di un romanzo, specie se di un classico della letteratura, è comunemente detta adattamento o riduzione a fumetti. Che senso può avere tradurre un classico nel linguaggio del fumetto, alterando inevitabilmente la sua forma originale e perfetta?
L’operazione editoriale più strutturata di adattamento a fumetti per ragazzi è stata sicuramente la collezione de I classici per ragazzi a fumetti, pubblicata come supplemento del settimanale Il Giornalino tra 1992 e 1995 e ripresa nel 2005. La raccolta comprende numerosi titoli, di diversa provenienza letteraria: poemi epici e racconti leggendari – Le avventure di Ulisse di Claudio Nizzi e Paolo Piffarerio, Il Santo Graal di Roudolph e Corrado Blasetti disegnato da Chiarolla; romanzi per ragazzi – Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne sceneggiato da Roudolph e disegnato da Renato Polese, L’isola del tesoro di Robert Louis Stevenson di Claudio Nizzi e Claudio Boscarato, Robinson Crusoe di Daniel Defoe sceneggiato e disegnato da Sergio Toppi; grandi capolavori della letteratura – I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni rielaborato da Claudio Nizzi e Paolo Piffarerio, Don Chisciotte di Miguel De Cervantes realizzato da Toni Pagot e Gino Gavioli.
L’operazione de Il Giornalino è interessante perché effettivamente consente ai giovani lettori di leggere storie che nella loro versione originale risulterebbero troppo complesse (spesso anche per il pubblico adulto). Inoltre, affiancando a sceneggiature e disegni di tutto rispetto del materiale didattico vero e proprio (introduzione alle opere e schede di approfondimento), proseguiva coerentemente la linea editoriale del settimanale, educare divertendo.
D’intonazione molto diversa è la raccolta de I classici della letteratura Disney, pubblicata come supplemento de Il Corriere della Sera nel 2006 e attualmente disponibile in una nuova edizione ampliata. Il fulcro di quest’operazione è la parodia del classico di riferimento, realizzata in modo semplice e geniale sovrapponendo ai protagonisti dell’originale la personalità, caricata e ben nota, dei grandi personaggi Disney e creando così un irresistibile rovesciamento comico – per esempio, Paperino, con il suo impaccio e la sua sfortuna cronica, veste i panni di personaggi eroici e seriosi nella Paperodissea e in Paperino-Amleto principe di Dunimarca.
Un’altro recentissimo* adattamento a fumetti è Le avventure di Huckleberry Finn di Mark Twain, scritto da Antonio Tettamanti e illustrato da Lorenzo Mattotti, dove il classico diventa spunto di sperimentazione grafica, non semplicemente in rispondenza alle scelte editoriali di Orecchio Acerbo, ma anche e soprattutto in consonanza con le avvertenze dell’autore con cui si apre il racconto originale: Chi cercherà di trovare uno scopo in questa narrazione sarà perseguito a termini di legge; chi tenterà di trovarvi una morale sarà esiliato; chi cercherà di trovarvi una trama sarà fucilato.
Infine, i Tipitondi, collana in cui i classici a fumetti – Tom Sawyer, Il mago di Oz, Il giro del mondo in 80 giorni e (il nuovo quasi arrivato) Oliver Twist – si affiancano a graphic novel nuovi e inediti, come a dire che il nuovo può avere la profondità del classico e il classico la freschezza del nuovo. Somiglianze che i giovani lettori riescono sempre a cogliere, perché naturalmente sentono che un classico non ha mai finito di dire quel che ha da dire.
*Su segnalazione di un lettore ho scoperto che il volume di Tettamanti e Mattotti in realtà risale al 1978. Chiedo scusa della svista e ringrazio moltissimo chiunque mi aiuti a individuare inesattezze e imprecisioni.
Occhio che l’Huckleberry Finn di Mattotti e Tettamanti è tutt’altro che recente. È la ripubblicazione di un fumetto della fine degli anni ’70.
Grazie! Ho indagato, effettivamente sbagliato e quindi corretto la svista.
permettimi una domanda: se l’adattamento o la “riduzione” di un classico della letteratura può avere senso nel momento in cui è un’operazione mirata a bambini e/o ragazzi (“consente ai giovani lettori di leggere storie che nella loro versione originale risulterebbero troppo complesse”), quindi riconducibile ad uno specifico segmento editoriale, quanto invece ha senso se fatto con romanzi adulti in fumetti per adulti?
La domanda la poni proprio tu: “Che senso può avere tradurre un classico nel linguaggio del fumetto, alterando inevitabilmente la sua forma originale e perfetta?”
Eppure la Tunuè lo sta facendo eccome.
Molte delle ultime graphic novels del suo catalogo (e molte di quelle che sta annunciando) sono adattamenti-riduzioni di romanzi già originali e perfetti. Che senso ha leggerli a fumetti, quando io – adulto – posso leggermi direttamente il romanzo?
Gentile Fabio, penso che un classico sia tale proprio perché riesce a generare intorno a sé una fioritura spontanea di immagini, riscritture, traduzioni, interpretazioni e trasposizioni in altri linguaggi comunicativi – tutte cose che nel classico trovano la loro ragion d’essere e che quindi al classico riportano, sempre e comunque. Rileggere un classico a fumetti da adulto (o osservare un quadro o guardare un film a esso ispirato) ti può portare a riscoprire il contenuto universale, e quindi antico ma sempre nuovo, epigrafico ma sempre fresco, che la sua forma originale, spesso segnata dal tempo, conserva. E quindi convincerti a leggerlo o rileggerlo quando fino a quel momento non l’avevi fatto. L’adattamento è, per come lo vedo io, un processo di apertura verso il classico, di eterno ritorno.
@Fabio e @Mara Fam
Mi permetto di offire un punto di vista diverso, con un paradosso.
Mettiamo che fra cento anni si siano perse le tracce di tutte le versioni possibili ed esistenti de “L’Isola del Tesoro” di Stevenson, compreso l’originale letterario.
Invece, per “X” motivi (la Rizzoli-Lizard governa il mondo o che ne so io…) sopravvive la (meravigliosa) versione a fumetti di Hugo Pratt.
Un adulto, o un bambino, leggono quella versione e la trovano bellissima. Perché, senza ombra di dubbio la trama è talmente bella che affascinerebbe comunque e l’adattamento grafico di Pratt è una gioia per gli occhi dalla prima all’ultima tavola.
La domanda che vi faccio e che mi faccio: siamo/siete tanto sicuri che qualcuno sentirebbe l’assenza dell’originale? Cioé di quella che voi chiamate “la forma perfetta” della letteratura?… Io vi devo dire la verità non ne sono tanto convinto. O meglio penso che bisogna sempre distinguere due piani: la forza della narrazione e il linguaggio con cui la si racconta. Sono due dimensioni, inevitabilmente sovrapposte, ma non coincidono del tutto.
Certo, caspita, il romanzo di Stevenson è meraviglioso anche per come è scritto. E Stevenson ha pensato la sua storia per raccontarla con la prosa letteraria. Ma ciò non toglie che la narrazione metta in gioco figure, significati, emozioni che sono lì nel nostro immaginario, prima ancora che nella forma espressiva con cui viene rappresentato. …Il piccolo Jim, l’ambiguo Long John, il triste Flint, ti appassionano, sia in una pagina di romanzo, sia dentro una vignetta, perché ci smuovono qualcosa dentro, perché ci ricordano tutti i Jim, Long John, Flint che abbiamo incontrato o potremmo incontrare nella nostra vita.
Per chiudere con il nostro paradosso, io penso che la gente continuerebbe ad amare “L’isola del tesoro” anche se si perdesse il ricordo dell’originale letterario. La amarebbe nella versione di Pratt che certo è diversa dal romanzo, ma dubito che la si possa definire “meno perfetta”. Io direi invece che è perfetta in una maniera diversa.
Perché ovviamente la stessa storia raccontata in letteratura, nel cinema o nel fumetto non sarà mai la stessa storia. Ogni traduzione tra un idioma e l’altro, tra un linguaggio e l’altro, costituisce per forza anche un “tradimento”. Ma non possiamo focalizzarci solo su ciò che va perso: dobbiamo tener conto anche di cosa il linguaggio nuovo aggiunge.
Non sto, ovviamente dicendo, che qualsiasi versione a fumetti vale l’originale letterario. Bisogna valutare, di caso in caso, la qualità della resa, il respiro e il senso dell’operazione… Però non v’è dubbio che in alcuni casi gli adattamenti risultino opere straordinarie, con una forza narrativa tale, da farci dimenticare l’originale, o per lo meno, da potergli tenere testa.
Purtroppo il termine “riduzione” è figlio di un tempo in cui al fumetto queste potenzialità espressive e questa dignità linguistica, si faticava a riconoscerle per tanti motivi (pregiudizi, contesti, etc.). Ma oggi avendo davanti gli adattamenti di Pratt, Battaglia, Corben, Eisner, Breccia, De Luca etc. non possiamo perseverare nell’errore.
Mi scuso per la lunghezza chilometrica del commento, spero di non avervi annoiato troppo.
Un classico, penso, è un punto di partenza. Eventualmente un punto di arrivo, e da qui di nuovo di partenza. Quindi ha senso quello che dici, non è per niente un paradosso.